Le Brutte Foto Dello Spazio
esiste anche la versione video di questo articolo
Da piccolo volevo fare l’astronauta. Mi sentivo unico, tutti volevano fare i calciatori o essere famosi, a me interessava fuggire e non tornare.
Come si capisce già da piccolo non avevo tanti amici, e finii nel racchiudere nel sogno dell’astronauta lo stesso desiderio degli altri bambini: essere speciale. Non trovo ad oggi che ci sia nulla di male in ciò, ma sicuramente è un desiderio diverso da quello che mi raccontavo all’epoca. Lo spazio era diverso da tutto ciò che esistesse, era sotto gli occhi di tutti ma inarrivabile, era infinito (qualità che da sola lo rendeva diverso da tutto ciò che avessi mai pensato), era inesplorato e soprattutto era spaventoso.
Nello spazio sei da solo, magari hai un equipaggio assieme al quale operare, ma siete soli, le comunicazioni sono lente e se si rompe il filo che ti tiene alla navicella mentre hai un minimo di velocità verso la direzione sbagliata non c’è attrito dell’aria che tenga. Non ho idea di quanto di ciò che ho detto o dirò sia scientificamente accurato, alla fine dei conti non sono diventato un astronauta, come le altre migliaia di bambini e bambine che come me lo desideravano. Una volta capito che il sogno dell’universo non era speciale, ho smesso di sperare di esplorarlo, cercando la mia unicità altrove. Eppure, tra le mille passioni volatili che un bambino assapora, quella dello spazio mi è rimasta nel cuore.
Come dicevo, nello spazio sei solo. Ma non per la difficoltà di muoversi, sei filosoficamente/mentalmente da solo. Sei nell’ambiente meno ospitale possibile, le capacità motorie sono inutili senza superfici contro quali applicare forze; le capacità visive sono inefficaci; tutto è troppo distante per essere visto in modo più preciso di un puntino di debole luce bianca o se si è fortunati rossa; senza aria non si può respirare, senza atmosfera non si può udire. Siamo SOLI, noi e la nostra mente. Filosoficamente dinanzi alla più massima dimostrazione di inettitudine umana.
E questo ci porta al pensiero che da titolo al video. Da piccolo mi divertivo ad approfondire questa passione per lo spazio tramite google immagini oltre che tramite film e libri. Nel sognare di essere uno scienziato che scopre l’inesplorato vedevo foto su foto dello spazio, alcune semplici ritraenti il nulla cosmico con i suddetti puntini bianchi, altre palesemente false ma colorate ed entusiasmanti. Leggevo e cercavo dei fenomeni più strani dell’universo, i quasar, le galassie, i buchi neri, più una foto era colorata e strana più mi entusiasmava. E non c’è nulla di male. Con gli anni però, mi sono allontanato dalla fascinazione per le foto dell’universo, ho continuato a cercare lo spazio nei film, nei libri, nei fumetti, nei giochi ma spesso e volentieri lo spazio diventava uno sfondo come un altro, luci al neon, razze aliene e navicelle potevano essere sostituite spesso senza troppo sforzo con il sole, delle tribù, dei cavalli e il deserto. Non entusiasmante quanto sperato, non mi faceva sentire più speciale come quando ero piccolo e mi convincevo di essere l’unico a sognare lo spazio.
Trovo che quelle foto, nel tentativo di interessare con rappresentazioni pirotecniche di ogni evento astronomico mi abbiano in un certo senso abituato a quella magnificenza fino a rendere noioso uno schermo nero con puntini bianchi che si è in dubbio se siano stelle dello spazio o pixel bruciati sul proprio monitor. Più una foto cattura l’incredibile, meno incredibile diventa. Tutti abbiamo in mente le immagini della Via Lattea, e smettono di essere entusiasmanti molto presto e molto facilmente, nonostante i concetti di cui parlavo prima come la spaventosa imponenza di questi sistemi, la nostra incapacità di assaporarli per bene e comprenderli siano ancora tecnicamente tutte lì.
Poi è arrivato Outer wilds. Non voglio dilungarmi troppo nell’esprimere i meriti e la storia di questo gioco, voglio solo prendere in prestito le sensazioni che si ha quando si interagisce con lo spazio. Il personaggio ha una tuta che può spostarlo lentamente, non è proprio la rappresentazione con il filo attaccato alla navicella che se si rompe sei morto che avevo da piccolo, ma non è così distante visto che se la navicella dovesse avere una eccessiva accelerazione o se il giocatore non dovesse considerare la propria accelerazione prima di toccare la navicella il finale sarebbe tragico. Outer wilds non è sicuramente privo degli scorci mozzafiato che dicevo di cercare su google immagini e che accusavo di avermi desensibilizzato allo spazio, i pianeti sono diversi tra di loro e sono tutti interessanti da guardare, sono inoltre ben più grandi di quanto non sarebbe fisicamente possibile data la loro distanza. Però il gioco non si ferma qui; Chiede al giocatore di abituarsi a questi paesaggi e guardare oltre al punto che alla ventesima ora di gioco ci sorprenderemo ad assaporare un paesaggio in attesa dell’esplosione del sole come di una trivialità. Non come in altri giochi dove c’è quasi la pretesa che il giocatore sia costantemente stupito di ogni panorama come non ne avesse visti diecimila prima. Una volta abituati a questo panorama potremo vedere le scritte sulle pareti, una luna che scompare e soprattutto potremo guardare oltre il nostro sistema solare. Dove verrà naturale guardare. E notare che non c’è altro che puntini bianchi, zoommando vedremo che alcuni esplodono in modo molto quieto, quasi fosse un fatto loro e non fossero stati piazzati lì in modo tale che noi li potessimo osservare e pensare che quelli potremmo essere noi quando il sole esploderà. Questa considerazione, assieme al fatto che il gioco ogni 22 minuti ci faccia ricominciare ci rimette al nostro posto. Siamo soli, nello spazio scomodo da navigare, pericoloso e se osiamo guardare ai bordi dei nostri piccoli mondi saremo accolti dalla peggiore delle rassicurazioni: siamo più piccoli di un puntino nell’universo e quando esploderemo, non lasceremo nemmeno un po’ di polvere rispetto alle dimensioni di una stella nell’universo. Neanche degni di essere notati. Piccole scimmie incapaci che fissano puntini bianchi su sfondo nero convinti di vedere lo spazio.